Sin da Platone, i pensatori occidentali hanno condiviso un’ipotesi di base sulla politica: alcune persone governano e altre obbediscono. L’ordine politico implica necessariamente ciò che Max Weber chiamava ” una relazione di uomini che dominano gli uomini supported sostenuti per mezzo di violenza legittima.”Attraverso millenni di pensiero politico ebraico, al contrario, una visione fondamentalmente diversa prevalso. La regola legittima (arche) è il possesso né di un essere umano (monarchia), né dei pochi (aristocrazia), né dei molti (democrazia). È la provincia di Dio solo, un concetto che lo storico romano-ebraico Giuseppe Flavio chiamato ” teocrazia.”
Eppure incorporato nell’idea di teocrazia è un paradosso. In teoria, il dominio divino elimina il bisogno di politica terrena. La sovranità ultima di Dio proibisce ogni violenza e dominio umano; il potere secolare è nel migliore dei casi illegittimo, nel peggiore dei casi idolatrico. In pratica, qualcosa come l’agenzia politica umana rimane sempre necessaria. La divinità, dopo tutto, non punisce i criminali, raccoglie le tasse, difende i confini o nutre gli affamati; questi compiti devono essere eseguiti dalle persone. Che aspetto ha dunque la politica umana alla luce della sovranità divina? Come si traduce la teocrazia in realtà? O, per riformulare la famosa domanda di Robert Dahl, chi governa quando Dio governa?
In questo libro, confronto le risposte al paradosso teocratico preso da due figure che sono centrali nel pensiero ebraico classico, ma in gran parte trascurate nella teoria politica: Moses ben Maimon (Maimonide) e Isaac ben Judah Abarbanel. Maimonide, il filosofo più importante dell’ebraismo medievale, sostiene che il dominio divino comporta la regalità della dinastia davidica, una teocrazia monarchica. Un re, egli propone, dovrebbe avere l’autorità non solo di far rispettare la legge ebraica (halakhah), ma di emanare una nuova legislazione secondo la sua discrezione. In questo modo, egli può assicurare che l’ordine sociale nel suo insieme si allinei all’idea della giustizia divina e che il dominio divino sia reso manifesto.
Al contrario, Abarbanel, il leader dell’ebraismo spagnolo durante e dopo l’Inquisizione spagnola, sostiene che il dominio di Dio necessita di una teocrazia repubblicana partecipativa, federata e sostanzialmente democratica. La regalità umana, egli sostiene, non solo è meno adatta al dominio divino, ma essenzialmente antitetica ad esso. Lungi dal garantire la giustizia, in realtà invita la tirannia. Così contro il regalismo teocratico, Abarbanel propone che nella concezione della Torah le persone stesse detengano il diritto di nominare i loro giudici; il potere è diffuso tra molteplici organismi giuridici quasi rappresentativi; e l’ultima parola in materia politica—incluso il diritto di dichiarare guerra e di fare eccezioni alla legge in tempi di emergenza-è detenuta dalla più alta corte, il Sinedrio.
Concludo il libro affrontando persistenti impulsi teocratici nel giudaismo contemporaneo così come nel cristianesimo e nell’Islam. In un momento in cui il rapporto tra religione e democrazia rimane irto e complesso, chi governa quando Dio governa? si propone di ridisegnare i nostri orizzonti sulla politica e la teologia recuperando un filone trascurato ma importante della teoria politica.