La maggior parte delle reliquie dell’Inquisizione spagnola sono state distrutte o nascoste in tutta Europa. Ma le mura di un palazzo storico in Sicilia che un tempo fungeva da prigione ospitano oscuri ricordi delle vittime del tribunale della Santa Inquisizione.
Le preghiere e le poesie in diverse lingue (e nei dialetti locali), così come le illustrazioni che vanno da semplici schizzi a disegni elaborati, sono testamenti alla rabbia, alla disperazione e alla speranza. Tra riferimenti all’Inferno dantesco e disegni di inquisitori che cavalcavano cavalli defecanti, una poesia scritta in siciliano offre una squallida descrizione delle circostanze: “Sento caldo e freddo, ho la malaria/Il mio stomaco trema/Il mio cuore e la mia anima stanno svanendo.”
La potente famiglia Chiaramonte costruì l’omonimo palazzo tra il 1307 e il 1320. Il Palazzo Chiaramonte è stato costruito in una forma distintiva dell’architettura gotica normanna, che è ora conosciuta in Sicilia come lo stile chiaramontano.
Il potere della famiglia durò fino al 1392, quando fu giustiziato Andrea Chiaramonte. La casa Chiaramonte cadde, e dalla fine del 1400 al 1517 il palazzo servì i viceré aragonese-spagnoli. In seguito ospitò la Dogana Reale e, dal 1600 al 1782, il palazzo fu utilizzato dall’Inquisizione sia come tribunale che come prigione. Durante un restauro nel 20esimo secolo, i lavoratori hanno scoperto scanalature lasciate da gabbie di ferro nella facciata. Il palazzo è ora un museo, dove le persone possono visitare le celle della prigione che presentano le pareti ricoperte di graffiti lasciati dai detenuti.