Omelia nella Festa di Cristo Re

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Introduzione

Questo è un giorno importante nella storia di questa Chiesa Parrocchiale di San Pietro e di tutta la Comunità di Little Bray. Sono molto lieto di essere qui per la riapertura formale di questa Chiesa storica con la dedicazione del nuovo altare e del fonte battesimale. Dopo la Messa avrò il piacere di benedire il nuovo centro parrocchiale. Questa Chiesa è stata per decenni al centro della vita di questa comunità. Il vicino cimitero è testimonianza delle generazioni di famiglie che qui hanno vissuto la loro fede e che hanno contribuito in tanti modi a questa comunità.

L’edificio della Chiesa inizia ora un nuovo capitolo della sua storia. Qui la gente della parrocchia si riunirà per ascoltare la parola di Dio e per celebrare l’Eucaristia e i sacramenti. Da qui i cristiani usciranno per essere lievito di amore nella comunità e testimoniare la fondamentale comprensione cristiana di ciò che è essere persona umana e di ciò che realmente significa comunità oggi e negli anni a venire.

Questo è un luogo sacro. Il font è il luogo in cui siamo nati nella vita cristiana. L’altare sarà consacrato a renderlo un simbolo di Cristo, l’unto, l’incenso viene bruciato sull’altare per mostrare come il sacrificio del Signore e la nostra preghiera sale a Dio; l’altare sarà coperto come la mensa del Signore, intorno al quale i sacerdoti e il popolo di festeggiare e condividere in un solo corpo e un solo sangue per il perdono dei peccati.

Omelia

In questa ultima domenica dell’anno liturgico della Chiesa, Festa di Cristo Re, abbiamo ascoltato la lettura evangelica del Giudizio Universale. È un testo straordinario che non riguarda solo un momento futuro della storia, ma l’essenza stessa di essere un seguace di Gesù Cristo oggi. È una sfida per ognuno di noi e per la nostra comunità cristiana ricordare che essere cristiani non è mai solo qualcosa di interiore. La vita cristiana non è mai egocentrica. Dio è amore e la vita cristiana non può che essere una vita che rifletta quell’amore. Il cristiano non può essere indifferente o disinteressato a coloro che ci circondano, specialmente a coloro che sono emarginati.

Ci sono molti esempi nell’arte e nella letteratura che tenderebbero a descrivere il giudizio universale come un momento terribile e spaventoso in cui Dio appare come un giudice freddo, separando le persone in diverse categorie e separandole da lui e gli uni dagli altri per tutta l’eternità.

La prima cosa che dobbiamo ricordare è che il giudizio non riguarda il modo in cui rispondiamo a una raccolta di regole e norme astratte o arbitrarie; si tratta principalmente di come rispondiamo con amore al Dio che è amore. Il giudizio riguarda l’amore, piuttosto che essere solo su regole e norme.

Saremo giudicati da come abbiamo amato e soprattutto da come abbiamo amato non solo quelli a noi vicini e cari, ma da come abbiamo amato i più marginali, le persone con le quali spesso normalmente non avremmo alcun contatto.

Gesù elenca quelli che a suo tempo erano i più marginali: quelli che soffrivano la fame o la sete, i nudi, gli stranieri, i malati, i carcerati. Quella lista originale non è certamente fuori dal segno per quanto riguarda i nostri tempi: possiamo pensare a coloro che hanno fame e sono senza nutrimento, fisico nostro spirituale o coloro che hanno sete di significato e di speranza nella confusione del nostro mondo. Possiamo pensare a coloro che sono esposti con poca copertura e protezione per gli elementi approssimativi dei nostri tempi, non solo climaticamente, ma anche economicamente o emotivamente; possiamo pensare a quelli che sono trattati come estranei, quando non rientrano nella come si definiscono le categorie di rispettabilità e di essere come noi. Possiamo pensare a coloro che sono fisicamente nelle nostre prigioni, ma anche a coloro che sono intrappolati nelle molte prigioni di sofferenza umana o oppressione o angoscia o angoscia.

Questi sono quelli con cui Cristo si identifica. Se facciamo qualcosa per i più emarginati, allora lo facciamo perché incontriamo Cristo in loro. Il Vangelo però ci dice qualcosa di più profondo: se vogliamo cercare i simboli di Dio, se vogliamo sapere chi è Dio, allora non dobbiamo rivolgerci ai potenti, ma a coloro che non hanno alcun sostegno terreno esterno. I poveri e gli emarginati ci rivelano chi è Dio; sono simboli e sacramenti di Dio.

Gli emarginati sono anche, si può dire, sacramenti del peccato, non nel senso di trovarsi ai margini è il frutto di una personale esperienza di peccato, ma piuttosto che la condizione degli emarginati e la nostra mancanza di preoccupazione per loro, ci rivela molti dei frutti del peccato e del male che ancora esistono nel nostro mondo e su cui noi, come seguaci di Gesù Cristo deve essere interessato.

Il Vangelo del Giudizio Universale non riguarda solo la nostra vita, ma la cura del credente cristiano sulle radici dell’emarginazione. Il credente non può non preoccuparsi di modelli di società che allontanano l’uomo dal raggiungere la pienezza della sua dignità. In questo contesto non posso che esprimere la mia preoccupazione per la situazione dei prigionieri nell’attuale

Irlanda, dove il nostro sistema è stato oggetto di costanti critiche internazionali. Le recenti notizie sugli eventi nel nostro carcere femminile sono preoccupanti di per sé, ma più preoccupanti perché le preoccupazioni dei cittadini responsabili nominati a nostro nome per monitorare gli standard nelle nostre carceri sembrano essere semplicemente respinte dalle autorità. In un sistema democratico ciò che accade dietro le mura delle nostre prigioni è di interesse pubblico e deve essere sempre aperto a un controllo pubblico appropriato ma indipendente.

Il giudizio menzionato nel Vangelo non è solo una sorpresa futura per coloro che non hanno risposto alla chiamata di Gesù. Non ci sono prove nella nostra lettura del Vangelo per immaginare che coloro che vengono nella valle del giudizio vengano già designati o identificabili come pecore o capre. Entrano tutti identici; solo esseri umani uno come l’altro. È l’incontro con il Signore che porta il discernimento in ciò che è la loro vita: ogni incontro con il Signore si traduce in un giudizio, discernimento su dove si concentra la nostra vita.

Detto in un altro modo, il giudizio su come conduciamo la nostra vita non è qualcosa che si svolge in un lontano futuro e che ci lascia il tempo di rimandare le decisioni. L’incontro con il Signore oggi e nelle nostre circostanze quotidiane mostra nella luce le molte note di oscurità nella nostra vita, le tenebre che scaturiscono quando falliamo nell’amore.

Oggi celebriamo la Festa di Cristo Re. Nell’ultima domenica dell’Anno Liturgico ricordiamo che la storia della salvezza, la storia del nostro Dio che ci accompagna nel nostro cammino qui sulla terra e lungo tutta la storia, giungerà alla sua conclusione solo quando la salvezza conquistata per noi da Gesù sulla Croce si realizzerà pienamente in tutto il mondo e all’interno dell’intera creazione. Il regno di Cristo si realizzerà pienamente solo quando il nostro mondo sarà pienamente testimone del regno di Dio: un regno di verità e di vita, un regno di santità e di grazia, un regno di giustizia, amore e pace. L’ingiustizia e le disuguaglianze del nostro mondo ci dicono che abbiamo davvero molto di più da raggiungere.

Il regno di Gesù non è di questo mondo, ma non è nemmeno fuori di questo mondo interamente. Il regno di Gesù è già presente nel seme nel nostro mondo, attraverso il potere redentore della morte e risurrezione di Gesù. È un regno che può essere anticipato, anche nel nostro tempo, attraverso la grazia e la santità, quando noi credenti cerchiamo di plasmare la nostra vita in termini di quella verità e di quella vita, di quella giustizia, di quell’amore e di quella pace che sono i segni del regno e della presenza di Dio.

La Festa di Cristo Re è una celebrazione di comunità, di comunità che vive in armonia e rifiuta ogni forma di divisione e violenza. Per molte generazioni questa Chiesa è stata un luogo dove i valori del regno di Dio sono stati insegnati e vissuti. Mentre dedichiamo questa Chiesa rinnovata ringraziamo Dio per le cose buone che abbiamo ereditato da coloro che sono andati prima di noi. Ci impegniamo a mantenere vivi i valori che abbiamo ereditato da loro nel futuro. Ci impegniamo a trasmettere alle generazioni future gli stessi valori cristiani vitali.

La narrazione del giudizio ci ricorda che il peccato nella nostra vita è ciò che causa divisione e quindi ci separa da Dio e gli uni dagli altri per tutta l’eternità. L’Eucaristia è ciò che ci unisce. Il tema del Congresso Eucaristico ci mostra come l’unità che si costruisce nell’Eucaristia sia l’opposto di tale separazione con Dio e di tale divisione tra noi. È comunione con Cristo e gli uni con gli altri.

Questo altare rinnovato sia il luogo dove per gli anni a venire questa comunità cristiana sarà un luogo di condivisione e comunione per tutti, di rinnovamento nella nostra vita cristiana e di grande benedizione per tutti coloro che vengono qui. ESTREMITÀ

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