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Corte Europea dei Diritti Umani – in caso di Cristiano Democratico Partito popolare v. Moldova (N. 2) (2010)

CASO DI CRISTIANO DEMOCRATICO PARTITO popolare v. MOLDOVA (N ° 2)
(Application no. 25196/04)
SENTENZA
STRASBURGO
2 febbraio 2010
FINALE
02/05/2010
Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni stabilite nell’Articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetto a revisione editoriale.

Nel caso del Partito Popolare Cristiano Democratico contro Moldova (n. 2),
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Quarta Sezione), riunita in una Camera composta da:
Nicolas Bratza, Presidente,
Lech Garlicki,
Ljiljana Mijović,
David Thór Björgvinsson,
Ján Šikuta,
Päivi Hirvelä,
Mihai Poalelungi, giudici,
e Fatoş Aracı, Vice Cancelliere di Sezione,
dopo Avere deliberato in privato su 12 gennaio 2010,
Fornisce la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. Il caso ha avuto origine in un’applicazione (n. 25196/04) contro la Repubblica Moldova, presentata alla Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) dal Partito popolare democratico cristiano (“la parte ricorrente”) il 26 maggio 2004.
2. La ricorrente era rappresentata dal sig. V Nagacevschi, avvocato che esercita a Chişinău. Il governo moldavo (“il Governo”) era rappresentato dal loro Agente, V. Grosu.
3. La parte ricorrente ha sostenuto, in particolare, che il suo diritto alla libertà di riunione era stato violato.
4. Il 4 aprile 2008 il Presidente della Quarta Sezione ha deciso di notificare la domanda al Governo. Si è inoltre deciso di esaminare il merito della domanda contemporaneamente alla sua ricevibilità (articolo 29 § 3).
I FATTI
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO
5. Il Partito Popolare Democratico Cristiano (“CDPP”) è un partito politico della Repubblica di Moldova che era rappresentato in Parlamento ed era all’opposizione al momento degli eventi.
6. Il 3 dicembre 2003 la parte ricorrente ha chiesto al Consiglio comunale di Chişinău l’autorizzazione a tenere una manifestazione di protesta nella Piazza della Grande Assemblea Nazionale, di fronte al palazzo del governo, il 25 gennaio 2004. Secondo la domanda, gli organizzatori intendevano esprimere opinioni sul funzionamento delle istituzioni democratiche in Moldova, sul rispetto dei diritti umani e sul conflitto moldo-russo in Transnistria.
7. Il 20 gennaio 2004 il Consiglio comunale di Chişinău ha respinto la richiesta della parte ricorrente in quanto “aveva prove convincenti del fatto che durante la riunione ci saranno appelli a una guerra di aggressione, odio etnico e violenza pubblica”.
8. La parte ricorrente ha contestato il rifiuto in tribunale e ha sostenuto, tra l’altro, che i motivi invocati dal Consiglio comunale erano del tutto infondati.
9. Il 23 gennaio 2004 la Corte d’appello di Chişinău ha respinto il ricorso della parte ricorrente. La corte ha ritenuto che il rifiuto del Consiglio comunale di autorizzare la manifestazione del CDPP fosse giustificato perché i volantini da esso diffusi contenevano slogan come “Abbasso il regime totalitario di Voronin” e “Abbasso il regime di occupazione di Putin”. Secondo la Corte d’Appello, questi slogan costituivano un appello a un rovesciamento violento del regime costituzionale e all’odio verso il popolo russo. In tale contesto, la corte ha ricordato che durante una precedente manifestazione organizzata dalla parte ricorrente per protestare contro la presenza dei militari russi in Transnistria, i manifestanti hanno bruciato una foto del Presidente della Federazione Russa e una bandiera russa.
10. La parte ricorrente ha impugnato la suddetta decisione sostenendo, tra l’altro, che gli slogan impugnati non avrebbero potuto essere ragionevolmente interpretati come un invito a un rovesciamento violento del governo o come un richiamo all’odio etnico e che il rifiuto di autorizzare la riunione costituiva una violazione dei suoi diritti garantiti dagli articoli 10 e 11 della Convenzione.
11. Il 21 aprile 2004 la Corte suprema di Giustizia ha respinto il ricorso della parte ricorrente e ha confermato la sentenza della Corte d’appello.
II. DIRITTO INTERNO PERTINENTE
12. Le pertinenti disposizioni delle Assemblee Legge 21 giugno 1995, come segue:
“Sezione 6
(1) le Assemblee saranno svolte pacificamente, senza alcun tipo di armi, e assicurano la tutela dei partecipanti e per l’ambiente, senza intralciare il normale uso di strade pubbliche, il traffico stradale e l’operazione economica, le imprese e senza degenerare in atti di violenza in grado di mettere in pericolo l’ordine pubblico e l’integrità fisica e la vita delle persone o la loro proprietà.
Sezione 7
Le assemblee sono sospese nelle seguenti circostanze:
(a) negazione e diffamazione dello Stato e del popolo;
(b) incitamento alla guerra o all’aggressione e incitamento all’odio per motivi etnici, razziali o religiosi;
c) incitamento alla discriminazione, al separatismo territoriale o alla violenza pubblica;
d) atti che minano l’ordine costituzionale.
Sezione 8
(1) Le assemblee possono essere condotte in piazze, strade, parchi e altri luoghi pubblici in città, paesi e villaggi, e anche in edifici pubblici.
(2) È vietato condurre un’assemblea negli edifici delle autorità pubbliche, delle autorità locali, degli uffici dei pubblici ministeri, dei tribunali o delle società con sicurezza armata.
(3) È vietato tenere assemblee:
(a) entro cinquanta metri dal palazzo del parlamento, dalla residenza del presidente della Moldavia, dalla sede del governo, dalla Corte costituzionale e dalla Corte Suprema di Giustizia;
b) entro venticinque metri dagli edifici dell’autorità amministrativa centrale, delle autorità pubbliche locali, dei tribunali, dei pubblici ministeri, delle stazioni di polizia, delle carceri e degli istituti di riabilitazione sociale, delle installazioni militari, delle stazioni ferroviarie, degli aeroporti, degli ospedali, delle imprese che utilizzano attrezzature e macchinari pericolosi e delle istituzioni diplomatiche.
(4) È garantito il libero accesso ai locali delle istituzioni elencate nella sottosezione 3.
(5) Le autorità pubbliche locali possono, previo accordo degli organizzatori, stabilire luoghi o edifici per assemblee permanenti.
Sezione 11
(1) Al più tardi quindici giorni prima della data dell’assemblea, l’organizzatore presenta una notifica al Consiglio comunale, il cui modello figura nell’allegato che costituisce parte integrante del presente atto.
(2) La notifica preventiva indica:
(a) il nome dell’organizzatore dell’assemblea e lo scopo dell’assemblea;
(b) la data, l’ora di inizio e l’ora di fine dell’assemblea;
(c) il luogo dell’assemblea e le vie di accesso e di ritorno;
(d) le modalità di svolgimento dell’assemblea;
(e) il numero approssimativo dei partecipanti;
(f) le persone che devono garantire e rispondere per il buon svolgimento dell’assemblea;
(g) i servizi che l’organizzatore dell’assemblea chiede al Consiglio comunale di fornire.
(3) Se la situazione lo richiede, il Consiglio comunale può modificare alcuni aspetti della notifica preventiva con l’accordo dell’organizzatore dell’assemblea.”
Sezione 12
(1) La notifica preventiva deve essere esaminata dal governo locale della città o del villaggio al più tardi 5 giorni prima della data dell’assemblea.
(2) Quando la notifica preventiva viene presa in considerazione in una riunione ordinaria o straordinaria del Consiglio comunale, la discussione verte sulla forma, il calendario, il luogo e le altre condizioni per lo svolgimento dell’assemblea e la decisione presa tiene conto della situazione specifica.
(…)
(6) Le autorità locali possono respingere la richiesta di tenere un’assemblea solo se, dopo aver consultato la polizia, hanno ottenuto prove convincenti che le disposizioni delle sezioni 6 e 7 saranno violate con gravi conseguenze per la società.
Sezione 14
(1) La decisione di rigetto della domanda di convocazione di un’assemblea è motivata e presentata per iscritto. Esso contiene i motivi del rifiuto del rilascio dell’autorizzazione…
Sezione 15
(1) L’organizzatore dell’assemblea può impugnare davanti ai tribunali amministrativi il rifiuto del governo locale.”
LA LEGGE
13. La parte ricorrente lamentava che il rifiuto di autorizzare la sua protesta violava il suo diritto alla libertà di riunione pacifica, come garantito dall’articolo 11 della Convenzione, che prevede:
“1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione con gli altri, compreso il diritto di formare e di aderire a sindacati per la tutela dei propri interessi.
2. All’esercizio di tali diritti non sono imposte restrizioni diverse da quelle prescritte dalla legge e necessarie in una società democratica nell’interesse della sicurezza nazionale o della pubblica sicurezza, per la prevenzione di disordini o reati, per la tutela della salute o della morale o per la tutela dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo non prevent all’imposizione di restrizioni legittime all’esercizio di tali diritti da parte di membri delle forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato.”
I. RICEVIBILITÀ DELLA CAUSA
14. La Corte ritiene che il presente ricorso sollevi questioni di fatto e di diritto sufficientemente gravi da far dipendere la loro determinazione da un esame di merito e che non siano stati fondati motivi per dichiararlo irricevibile. La Corte dichiara pertanto ricevibile il ricorso. In conformità con la sua decisione di applicare l’articolo 29 § 3 della Convenzione (vedi paragrafo 4 sopra), la Corte esaminerà immediatamente il suo merito.
II. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 11 DELLA CONVENZIONE
A. Gli argomenti delle parti
15. La parte ricorrente ha sostenuto che l’interferenza con il suo diritto alla libertà di riunione non perseguiva uno scopo legittimo e non era necessaria in una società democratica.
16. Il governo ha ammesso che vi è stata un’interferenza con i diritti della ricorrente garantiti dall’articolo 11 della Convenzione. Tuttavia, tale interferenza era prescritta dalla legge, in particolare dalla legge sulle Assemblee, perseguiva uno scopo legittimo ed era necessaria in una società democratica.
17. Per quanto riguarda l’obiettivo legittimo, il governo ha sostenuto che l’interferenza era giustificata in quanto perseguiva gli interessi della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico. Secondo il governo, lo svolgimento della manifestazione di fronte al governo avrebbe potuto portare a tensioni tra l’elettorato di maggioranza del Partito comunista e l’elettorato di minoranza del partito candidato e degenerare in atti di violenza. Inoltre, le richieste della parte ricorrente relative all ‘”occupazione russa della Moldova” costituivano un’istigazione a una guerra di aggressione e odio contro i russi. Per quanto riguarda la proporzionalità dell’interferenza con lo scopo legittimo perseguito, il governo ha sostenuto che l’interesse dell’elettorato di maggioranza che aveva votato per il Partito comunista prevaleva su quello dell’elettorato di minoranza che aveva votato per il partito candidato. Inoltre, nel limitare la libertà di riunione della ricorrente, le autorità hanno tenuto conto dell’interesse della Moldova a mantenere buone relazioni bilaterali con la Federazione Russa.
B. Valutazione della Corte
18. È opinione comune tra le parti e la Corte concorda sul fatto che la decisione di respingere la domanda della parte ricorrente di tenere una manifestazione il 25 gennaio 2004 equivale ad “interferenza da parte di autorità pubbliche” con il diritto della ricorrente alla libertà di riunione ai sensi dell’articolo 11, primo comma. Tale interferenza comporterà una violazione dell’articolo 11 a meno che non sia “prescritta dalla legge”, abbia uno o più scopi legittimi ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo e sia “necessaria in una società democratica” per raggiungere tale scopo o obiettivi.
19. Le parti non contestano la legittimità dell’ingerenza ai sensi dell’articolo 11 della Convenzione. Allo stesso tempo non erano d’accordo sul fatto che l’interferenza servisse a uno scopo legittimo. La Corte, per le ragioni di seguito esposte, non ritiene necessario decidere su questo punto e si concentrerà sulla proporzionalità dell’interferenza.
20. La Corte ricorda di aver affermato più volte nelle sue sentenze che non solo la democrazia è una caratteristica fondamentale dell’ordine pubblico europeo, ma che la Convenzione è stata concepita per promuovere e mantenere gli ideali e i valori di una società democratica. La Democrazia, ha sottolineato la Corte, è l’unico modello politico contemplato dalla Convenzione e l’unico compatibile con essa. In virtù della formulazione del secondo comma dell’Articolo 11, e allo stesso modo di cui agli Articoli 8, 9 e 10 della Convenzione, l’unica necessità è in grado di giustificare un’interferenza con i diritti sanciti negli Articoli di cui è uno che può pretendere di primavera da una “società democratica” (vedi Refah Partisi (il Welfare del Partito) e Altri c. Turchia , nn. 41340/98, 41342/98, 41343/98 e 41344/98, §§ 86-89, CEDU 2003-II, e Cristiano Democratico Partito popolare v. Moldova, no. 28793/02, CEDU 2006-II).
21. Facendo riferimento ai tratti distintivi di una “società democratica”, la Corte ha attribuito particolare importanza al pluralismo, alla tolleranza e all’ampiezza. In tale contesto, essa ha ritenuto che, sebbene gli interessi individuali devono a volte essere subordinati a quelli di un gruppo, la democrazia non significa semplicemente che il punto di vista della maggioranza deve sempre prevalere: un equilibrio deve essere raggiunto, che assicura la giusta e il corretto trattamento delle minoranze e di evitare qualsiasi abuso di posizione dominante (v. Young, James e Webster v. Regno Unito, il 13 agosto 1981, § 63, Serie A n. 44, e Chassagnou e Altri v. Francia , nn. 25088/94, 28331/95 e 28443/95, § 112, CEDU 1999-III).
22. Nell’effettuare il controllo ai sensi dell’articolo 11, la Corte non ha il compito di sostituire il proprio punto di vista a quello delle autorità nazionali competenti, bensì di riesaminare, ai sensi dell’articolo 11, le decisioni da esse emesse nell’esercizio del proprio potere discrezionale. Ciò non significa che debba limitarsi ad accertare se lo Stato convenuto abbia esercitato la propria discrezionalità in modo ragionevole, attento e in buona fede; essa deve esaminare l’ingerenza denunciata alla luce del caso nel suo complesso e stabilire se essa fosse “proporzionata allo scopo legittimo perseguito” e se i motivi addotti dalle autorità nazionali per giustificarla siano “pertinenti e sufficienti”. In tal modo, la Corte deve accertarsi che le autorità nazionali applicassero norme conformi ai principi sanciti dall’art. 11 e, inoltre, che basassero le loro decisioni su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti (v., Partito Comunista unito di Turchia e a. / Turchia, 30 gennaio 1998, § 47, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 1998-I).
23. Il diritto alla libertà di riunione pacifica è garantito a tutti coloro che hanno l’intenzione di organizzare una manifestazione pacifica. La possibilità di contromanifestazioni violente o la possibilità che estremisti con intenzioni violente si uniscano alla manifestazione non può in quanto tale togliere tale diritto (cfr. Plattform “ÄrZte für das Leben” contro Austria, sentenza 21 giugno 1988, § 32, Serie A n.139). L’onere di dimostrare le intenzioni violente degli organizzatori di una manifestazione spetta alle autorità.
24. Tenuto conto del ruolo essenziale svolto dai partiti politici nel buon funzionamento della democrazia, le eccezioni di cui all’articolo 11 devono essere interpretate, per quanto riguarda i partiti politici, rigorosamente; solo ragioni convincenti e convincenti possono giustificare restrizioni alle libertà di tali partiti garantite dall’articolo 11. Nel determinare se esiste una necessità ai sensi dell’articolo 11 § 2, gli Stati contraenti hanno solo un limitato margine di apprezzamento, che va di pari passo con una rigorosa supervisione europea (v. Partito socialista e Altri v. Turchia, 25 maggio 1998, § 50, Relazioni 1998-III). Mentre la libertà di espressione è importante per tutti, lo è soprattutto per un rappresentante eletto del popolo. Egli rappresenta il suo elettorato, richiama l’attenzione sulle loro preoccupazioni e difende i loro interessi. Di conseguenza, le interferenze con la libertà di espressione di un membro del parlamento di opposizione richiedono il più stretto controllo da parte della Corte (v. Castells c. Spagna, 23 aprile 1992, § 42, Serie A n.236).
25. La Corte ha più volte ribadito che la Convenzione mira a garantire diritti non teorici o illusori, ma pratici ed efficaci (v. Articolo c. Italia, sentenza 13 maggio 1980, § 33, Serie A n.37). Ne consegue che un rispetto autentico ed effettivo della libertà di associazione e di riunione non può essere ridotto ad un mero dovere dello Stato di non interferire; una concezione puramente negativa non sarebbe compatibile con lo scopo dell’art.11 né con quello della Convenzione in generale. Non può, quindi, essere positivo obblighi per garantire l’effettivo godimento del diritto alla libertà di associazione e di assemblea (vedi Wilson, dell’Unione Nazionale dei Giornalisti e Altri c. Regno Unito, nn. 30668/96, 30671/96 e 30678/96, § 41, CEDU 2002-V) anche nell’ambito dei rapporti tra privati (vedi Plattform “Ärzte für das Leben”, sopra citata, § 32). Di conseguenza, spetta alle autorità pubbliche garantire il corretto funzionamento di un partito politico, anche quando questo sconvolge o offende persone contrarie alle idee o alle affermazioni che cerca di promuovere. I loro membri devono essere in grado di tenere riunioni senza dover temere di essere sottoposti a violenza fisica da parte dei loro avversari. Tale timore potrebbe dissuadere altre associazioni o partiti politici dall’esprimere apertamente le loro opinioni su questioni molto controverse che interessano la comunità.
26. Per quanto riguarda le circostanze del caso in esame, la Corte rileva che al momento materiale il CDPP era un partito di opposizione parlamentare di minoranza con circa il dieci per cento dei seggi in Parlamento, mentre il Partito comunista di maggioranza aveva circa il settanta per cento dei seggi. L’interferenza riguardava una manifestazione in cui la parte ricorrente intendeva protestare contro presunti abusi antidemocratici commessi dal governo e contro la presenza militare russa nella regione moldova transdniestriana. Tenuto conto dell’interesse pubblico alla libertà di espressione per tali argomenti e del fatto che la parte ricorrente era un partito politico parlamentare di opposizione, la Corte ritiene che il margine di apprezzamento dello Stato fosse corrispondentemente ristretto e che solo ragioni molto convincenti avrebbero giustificato l’interferenza con il diritto alla libertà di espressione e di riunione del CDPP.
27. La Corte osserva che il Consiglio comunale di Chişinău e i tribunali nazionali hanno ritenuto che gli slogan “Abbasso il regime totalitario di Voronin” e “Abbasso il regime di occupazione di Putin” corrispondessero a appelli a un rovesciamento violento del regime costituzionale e all’odio verso il popolo russo e all’istigazione a una guerra di aggressione contro la Russia. La Corte osserva che tali slogan dovrebbero essere intesi come espressione di insoddisfazione e protesta e non è convinta che possano ragionevolmente essere considerati come un invito alla violenza anche se accompagnati dall’incendio di bandiere e immagini di leader russi. La Corte ricorda che anche tali forme di protesta come l’ostruzione fisica attiva della caccia sono state ritenute espressione di un parere (v. Steel e Altri c. Regno Unito, 23 settembre 1998, § 92, Relazioni 1998-VII; Hashman e Harrup c.Regno Unito , n. 25594/94, § 28, CEDU 1999-VIII). Nel caso di specie, inoltre, la Corte constata che gli slogan della parte ricorrente, anche se accompagnati dall’incendio di bandiere e immagini, costituivano una forma di espressione di un parere su una questione di grande interesse pubblico, vale a dire la presenza di truppe russe sul territorio della Moldova. La Corte ricorda in questo contesto che la libertà di espressione non si riferisce solo alle “informazioni” o alle “idee” che sono accolte favorevolmente o considerate inoffensive o come una questione di indifferenza, ma anche a quelle che offendono, scioccano o disturbano (v. Jersild c.Danimarca, 23 settembre 1994, § 31, Serie A n. 298). Di conseguenza, la Corte non è convinta che i motivi suindicati addotti dalle autorità nazionali per negare alla parte ricorrente l’autorizzazione a dimostrare possano essere considerati pertinenti e sufficienti ai sensi dell’art.11 della Convenzione.
28. Nelle loro decisioni, le autorità nazionali hanno anche fatto affidamento sul rischio di scontri tra i manifestanti e i sostenitori del partito di governo. La Corte ritiene che, anche se vi fosse un rischio teorico di scontri violenti tra i manifestanti e i sostenitori del Partito comunista, fosse compito della polizia stare tra i due gruppi e garantire l’ordine pubblico (v. punto 25 supra). Pertanto, anche questo motivo di rifiuto dell’autorizzazione non può essere considerato pertinente e sufficiente ai sensi dell’articolo 11 della Convenzione.
29. Nel giungere alle conclusioni di cui sopra, la Corte ricorda che la parte ricorrente ha registrato numerose manifestazioni di protesta tenutesi nel 2002, pacifiche e in cui non si sono verificati scontri violenti (v., Partito Popolare Democratico Cristiano contro Moldova, citata; Roşca e A. contro Moldova, nn.25230/02, 25203/02, 27642/02, 25234/02 e 25235/02, 27 marzo 2008). In tali circostanze, la Corte ritiene che non vi fosse nulla da suggerire nelle azioni della parte ricorrente che intendesse disturbare l’ordine pubblico o cercare un confronto con le autorità o con i sostenitori del partito di governo (v. Hyde Park e Altri v. Moldova, n. 33482/06, § 30, 31 marzo 2009).
30. Di conseguenza, la Corte conclude che l’interferenza non corrispondeva a un’esigenza sociale pressante e non era necessaria in una società democratica. Vi è stata una violazione dell’articolo 11 della Convenzione.
III. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
31. L’articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte constata che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata consente solo una riparazione parziale, la Corte, se necessario, offre giusta soddisfazione alla parte lesa.”
A. Danno
32. Il richiedente ha sostenuto 3,000 euro (EUR) in materia di danni morali.
33. Il governo non era d’accordo e sosteneva che l’importo era eccessivo e infondato.
34. La Corte riconosce alla parte ricorrente l’intero importo richiesto.
B. Costi e spese
35. Le ricorrenti hanno inoltre chiesto 1.098, 05 EUR per le spese e le spese sostenute dinanzi ai tribunali nazionali e alla Corte.
36. Il governo ha contestato l’importo e ha sostenuto che era eccessivo.
37. La Corte assegna 1.000 EUR per spese e costi.
C. Interessi di mora
38. La Corte ritiene opportuno che gli interessi di mora siano basati sul tasso di rifinanziamento marginale della Banca Centrale europea, al quale vanno aggiunti tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITÀ
1. Dichiara ricevibile la domanda;
2. Ritiene che vi sia stata una violazione dell’articolo 11 della Convenzione;
3. Detiene
(a) che il convenuto è Stato per pagare il richiedente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diviene definitiva in conformità con l’Articolo 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi, che saranno convertiti nella valuta del convenuto di Stato al tasso in vigore alla data di insediamento:
(i) di 3.000 EURO (tremila euro) in materia di danno non patrimoniale, più qualsiasi tassa che può essere addebitabile su questa cifra;
(ii) EUR 1.000 (mille euro) nel rispetto dei costi e delle spese, più qualsiasi tassa che può essere a carico del richiedente su tale importo;
(b) che dalla scadenza dei suddetti tre mesi fino alla liquidazione semplici saranno corrisposti interessi su somme di cui sopra ad un tasso pari al tasso di rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea durante il periodo di default maggiorato di tre punti percentuali;
4. Respinge il resto della domanda della ricorrente per giusta soddisfazione.
Fatto in inglese, e notificato per iscritto il 2 febbraio 2010, ai sensi della regola 77 §§ 2 e 3 del Regolamento del tribunale.
Fatoş Aracı Nicolas Bratza
Vice Cancelliere Presidente

PARTITO POPOLARE DEMOCRATICO CRISTIANO v. MOLDOVA (No. 2) SENTENZA

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